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Immagine del redattoreLuca Signori

Lupin


Lupin è la nuova serie Netflix sbarcata ieri sulla piattaforma di streaming. È una serie pimpante, ha un buon ritmo e fila via che è un piacere. Il merito? Un mix ben orchestrato tra mito, misteri e modernità.


Il mito è quello di Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo, nato nel 1905 dalla penna di Maurice Leblanc. Una leggenda che ha attraversato più un secolo ispirando intere generazioni e prestandosi ad ogni tipo di trasposizione: dal cinema ai cartoni animati. Quei cartoni animati della sigla “Lupin, Lupin, l’incorreggibile Lupin” ? Ecco, se avete letto le ultime quattro parole canticchiando, beh, allora siete nel mood giusto! Bravi! Avete infatti già capito quanto la nostra cultura, quella europea, sia intrisa del mito di Lupin.


Al tempo stesso, però, sapete anche un’altra cosa: Lupin non esiste senza misteri. Anche in questa serie, infatti, ce ne sono parecchi. E sono legati tutti legati al libro di Leblanc che passa di padre in figlio: dal padre di Assane Diop ad Assane, poi da Assane a suo figlio Raul. Il padre di Assane, nel libro, ci nasconde dei messaggi in codice, poi Assane lo riceve in regalo e, gli insegnamenti del libro, li fa diventare un vero stile di vita.


La modernità invece è data dalla scelta dell’ambientazione: la Parigi dei giorni nostri, dove il Louvre incanta e sbrilluccica, divino nella sua infinita bellezza. Qui, al Louvre, Assane, il protagonista (interpretato da Omar Sy) lavora come addetto alle pulizie ma, in realtà, questa è soltanto una copertura. Assane sta puntando al sontuoso collier della regina Maria Antonietta.

Certo, vuole rubarlo. Ma non vuole solo rubarlo. Vuole rubarlo per vendicare il padre incarcerato e accusato ingiustamente, 25 anni prima, proprio del furto di quel collier. Un furto, quello organizzato da Assane, che di fatto mette il turbo agli eventi e fa emergere la sua personalità: si prende gioco della polizia con depistaggi e scherzetti, riesce ad entrare in carcere con uno scambio di persona, prende in ostaggio il commissario Dumont e gli fa prendere una bella strizza, si allea con una giornalista per incastrare l’odiato e corrotto miliardario Pellegrinì, e così via.

Un inanellarsi di rocambolesche vicissitudini, insomma, scandite da azzeccati effetti sonori, tra una scena e l’altra, che ricordano vagamente Dark. Una corsa contro il tempo che, per ora, si conclude sulla spiaggia di Le Havre, dove accade qualcosa che rende inevitabile una seconda stagione. Secondo capitolo che tutti stiamo già aspettando con impazienza.


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