Madame Rosà e Momò sono i protagonisti principali di “La vita davanti a sé”, film drammatico diretto da Edoardo Ponti e ispirato al romanzo di Romain Gary, datato 1975, e già portato al cinema dall’egiziano Moshé Mizrahi. Due personaggi distanti in tutto, praticamente. Per provenienza, posizione sociale, carattere, atteggiamenti, visione della vita. Di quello che, della vita, inseguono (Momò) e di quello che, dalla vita (Rosà), hanno ottenuto.
Madame Rosà (Sophia Loren) è una donna anziana, ex prostituta, ebrea e deportata, che cura bimbi trovatelli e/o “abbandonati”. Momò (Ibrahima Gueye, all’esordio), invece, è un giovincello musulmano di origini senegalesi. Orfano, irrequieto, strafottente, convinto che tutto gli sia dovuto, fa salire il nervoso a chiunque. All’inizio viene davvero voglia di prenderlo a schiaffi, per la sua eccessiva maleducazione! Si arrabatta come può tra un tutore, il dottor Cohen, che non sa più a che santo votarsi per contenerlo, e qualche dose di droga che spaccia nei vicoli di Bari. Insomma: Momò e Rosa sono due mondi agli antipodi, spesso in collisione.
La storia li farà incontrare, permetterò ad entrambi di smussare gli angoli più spigolosi dei rispettivi caratteri, impareranno a volersi bene. E impareranno a capire che “la vita davanti a sé” non si ottiene senza rispetto, pazienza, fregando il prossimo o utilizzando ogni mezzuccio possibile. Serve cambiare musica. Serve lottare per qualcosa di nobile. Perché c sono ancora valori, persone e soprattutto, sogni, che valgono molto, molto di più.
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