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Immagine del redattoreLuca Signori

La belva


Leonida Riva, ex capitano delle forze speciali prova ad affogare, negli psicofarmaci, gli orrori delle missioni di guerra. E ci sta anche riuscendo, quando il figlio Mattia gliela combina grossa: si dimentica, un attimo, della sorellina davanti ad un fast food. Giusto quello che serve ai malintenzionati per rapirla e portarla via. Da quel momento entra in gioco il capitano Riva “La belva”. Che, pur di salvare Teresa, la figlia, è disposto a tutto. A ribaltare vice questori, puntare grilletti contro polizia e scaricare pallottole contro chiunque gli si metta davanti: balordi, tossicodipendenti, criminali e papponi. Non solo. Più incassa cartellate e coltellate, più la rabbia cresce ia dismisura. Sia chiaro: Leonida non è invincibile. Finisce al tappeto più volte ma si rialza sempre. Lotta anche con i demoni del passato, che tornano a fagli visita e prova, riuscendoci sempre, a ricacciarli laddove li ha trovati. Insomma: sembra incredibile che un energumeno così sia in grado di mostrare (seppur col contagocce eh) qualche accenno di tenerezza. Eppure. Lo fa quando si cuce una ferita all’addome di fronte alla moglie sconsolata e quando convince Mattia a farlo fuggire dall’ospedale. E tiene tutto in gioco fino all'ultimo, specie quando sembra sul punto di crollare...


In definitiva “La belva”, produzione italiana arrivata su Netflix a fine novembre, non è malaccio. È un thriller tosto e gnucco, proprio come il suo protagonista principale. Un thriller pieno zeppo di tensione, inseguimenti, tormenti interiori e ostinazione. Ma, forse, pecca di un filo di presunzione. La figlia rapita e il padre che sfida il mondo pur di riaverla è una storia già vista, fin troppo. Vengono inoltre oscurati, per non dire annullati, gli altri attori, specialmente il vice questore aggiunto Simonetti (anche se si riscatta alla fine). Tutti, chi più chi meno, finiscono per avere il mero ruolo di comprimari di Leonida e della sua incontrollabile furia.



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