Il confronto e le liti di (e tra) tre generazioni, la figura di J.D. Vance che bisognerebbe santificare per tutti i rospi che ingoia, le due figure femminili agli antipodi (la nonna Mamaw, buona ma rude, da un lato, e la figlia Bev, pazza, tossicodipendente e recidiva, dall’altro). E, ahimè, poco altro. Eh sì. Sta in questo il succo di Elegia Americana, film sbarcato da pochissimo su Netflix.
Ispirato al romanzo omonimo di J.D. Vance, racconta la vita di una famiglia hillibilly di fine anni 90 che si affanna sia per scrollarsi di dosso (senza mai riuscirci) gli stereotipi del mondo rurale, sia per (in)seguire il celeberrimo “sogno americano”.
Un film che mi sentivo di bollare con un 5 ma che, alla fine, ho voluto salvare: sufficienza, seppur stiracchiata. Insomma: la pellicola mi ha fatto un po’ storcere il naso. Viene salvata (forse) solo dalle interpretazioni dei singoli e da qualche dialogo tra i protagonisti dove le riprese indugiano più del dovuto. E soprattutto da una volontà, fin troppo ostentata, di voler tenere unita la famiglia a tutti i costi. Famiglia che, per lunghi tratti della narrazione (se non per l’intero film), oltre ad essere distrutta, sembra qualcosa di veramente astratto. Dai Ron (Howard, il regista) questa volta non è andata benissimo. Aspettiamo il riscatto!
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