Pluripremiata, famosa in tutto il mondo e accolta molto bene dalla critica anche adesso, a 12 anni di distanza dalla sua creazione. Breaking Bad è una delle serie cult non solo di Netflix, ma dell’intera storia della TV. Un prodotto narrativo davvero di qualità. Personalmente però l’ho trovato pesante. Anzi, molto pe-san-te (la scelta di dividere la parola pesante in sillabe non è casuale). Una serie forte e cruda. Una serie difficile. Da masticare, assimilare, digerire.
Eh sì, una pesantezza enorme e profonda, avvertita per diversi motivi: la tematica affrontata, la lunghezza (5 stagioni sono una bella batosta), la complessità psicologica e le scene di violenza. Ho pensato più volte di abbandonarla, lo ammetto, ma ho resistito. Per curiosità, soprattutto. Ero infatti molto curioso di sapere dove Gilligan, il regista, voleva portare i personaggi. Alla fine, proprio come si fa come una droga, sono stato assuefatto. E ne volevo sempre di più (state tranquilli, questo tipo di overdose è l’unica che non fa male).
Certo, nessuno voleva che Walter White finisse in quel modo ma la serie mica poteva essere neverending. Ecco perché ho seguito con attenzione l’evoluzione del personaggio. Un semplice cittadino che, dopo aver scoperto di avere il cancro, da professore modello si trasforma in Heisenberg, il più temuto cuoco di metanfetamina del New Mexico. Formidabili, a mio avviso, anche le interpretazioni di Jesse Pinkman, il co-protagonista, con i suoi ripetuti deliri e il merito di riuscire a sfangarla sempre; Hank, l’agente della DEA che vuole mettere la parola fine ai cartelli della droga, e Gus Fring, l’insospettabile titolare dei ristoranti Los Pollos Hermanos.
Questi sono solo alcuni spunti di Breaking Bad, una delle serie più dense mai viste e prodotte finora, ma sappiate una cosa. Se volete gustarvi questa serie, vi servono tre cose: tanto tempo per vederla, altrettanto per le pause tra un episodio e quello successivo e, soprattutto, buon fegato!
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